Al Macro di Roma la personale di Dan Perjovschi
Si muove libero, nello spazio, Dan Perjovschi, mentre disegna veloce, sollevandosi da terra con un carrello elevatore per raggiungere ogni pezzetto di superficie a sua disposizione. In una libertà di movimento aerea che è insieme fisica e concettuale. Perché è con la libertà di movimento che ha inizio anche la libertà di espressione, come gli hanno insegnato per contrasto i repressivi anni della censura, sotto il regime di Ceausescu.
Tutta la libertà ritrovata sembra ora zampillare da quella levità di linee disegnate, da quella loro irrefrenabile velocità, che scorre semplice e chiara e abita un segno potenzialmente ubiquo, perchè si lascia tracciare ovunque. Ovunque la mano dell’artista lo desideri e lo disegni, per portare un’onda di ribellione lieve e senza rabbia, per rimarcare un’idea critica sul mondo e marcare un territorio temporaneo e nuovo.
Un di-segno che non nasconde alcuna ossessione assertiva e che, tuttavia, può scalfire la superficie, inciderla di un’intelligenza sorgiva e con una grazia irriverente ed acuta, dove il segno si sprigiona in una danza libera e vivace, che si svolge su qualsiasi superficie incontri. Perché nell’universo di Perjovschi tutto è tracciabile, anche se tutto è già tracciato: un muro, una vetrata, una parete, un soffitto non sono ostacoli ma aperture sul mondo, da imboccare con soave ed adulta ironia.
La sfida senza arroganza che l’artista ingaggia con le barriere del già detto e del già deciso soffia rapida sul senso, lo spazza via, ricordando a tutti noi la sua impermanenza, la sua vita transitoria e fugace. Quel segno veloce, dipanato agile dalla mano e controllato dalla mente zeppa di idee, zeppa di opinioni sul mondo, si svolge senza presunzione, sigillato in quel dono della sintesi che solitamente contraddistingue le vignetta satiriche dei quotidiani e che è al contempo affabulatorio quanto un’intera striscia di fumetti, buffo quanto il linguaggio naife dei cartoon, incisivo e puntuto quanto la miglior tradizione giornalistica.
Politica, società, ambiente, attualità: c’è tutto il mondo infatti riflettuto e raccontato nei disegni di Perjovschi, che ha dichiarato: “I can understand the world only if I draw it. If I draw it, I will remember it”.
I disegni di Perjovschi si possono leggere in modo olistico, come un unico grande fumetto farcito di cose, idee, appunti. Oppure come singoli interstizi, dettagli, micro-vignette, dove parole e immagini sigillano un’idea, anche se solo per un attimo, perché l’occhio nel frattempo è già intento a seguire la vignetta successiva, a lasciarsi catturare dalla complessa geografia di segni che affollano la superficie, in un farsi segno che è quasi un annotarsi, un prendersi nota a voce alta. Un repertorio vivissimo di pensieri e immagini squadernato. Uno zibaldone di idee, disegnate con garbo, sparse ovunque, spalmate senza vergogna dappertutto, perché tutti le vedano, le pensino, le dimentichino, senza nessuna pretesa intrusiva di dominare e imporsi sul pubblico che è altrettanto libero di muoversi e (di)vagare oppure di osservare Perjovschi mentre scuce il suo disegno sulla pelle del mondo.