Mario Brunello sale con naturalezza sul palco allestito all’aperto al Castello degli Ezzelini. Si rivolge subito al pubblico con una semplicità disarmante: “Mi sarebbe sempre piaciuto suonare il pianoforte”- dice al microfono- “e pure il violino, perché si suona in quartetto”. E quando l’incredulità inizia a serpeggiare, aggiunge pacato: “ma il violoncello è lo strumento più bello del mondo”. Senza enfasi annuncia il pezzo di apertura. Racconta che da sempre suona alla ricerca di una polifonia di voci, e che grazie al loop e ad un i-pad tutto è possibile. Poi, imbraccia il violoncello. La scintilla dell’ascolto si è già accesa. Fissa lo spartito al leggio con delle mollette di legno. Inspira profondamente. Si posiziona. Il dialogo fisico prima ancora che musicale tra il gigante e il bosco è iniziato.
Una ciaccona di Monteverdi zampilla composta dal legno vivo e animato del suo violoncello Maggini e risale fino ai crini robusti che Brunello pettina, sfiora, accarezza e riesce a far conversare amabili in gradini di suoni.
La sua figura si staglia nitida e azzurrina sulle mura illuminate del Castello. Una volta assoluta di stelle illumina il mago e il suo strumento, che a lui si appoggia come un secondo corpo, vivo, innamorato, spietato, appassionato. Dopo Monteverdi, esegue Teleman, introdotto con garbo, precisando che è un contemporaneo di Bach. Poi prende fiato, e preme di nuovo le dita sulle corde strigliate di sudore, lasciando uscire la spirale innamorata e divina della seconda Suite per violoncello solo di Bach. L’architettura sonora di Bach, che definisce un “miracolo di polifonia virtuale”, anticipata in cellule di suoni e poi subito tradita da altre e altra ancora, vibra intensa, libera, aperta. Il mistero esaudito del genio di Bach che inspiegabilmente fa del neonato violoncello strumento d’elezione per elevare questa sinfonia all’Universo si espande nell’aria e danza, penetrando il buio e le stelle di questa serata d’agosto , trasmettendo intere voci su eliche di note.
Dopo quest’avventura d’ascolto quasi ultraterrena, Brunello si ferma e di nuovo, con pazienza, parla al pubblico e presenta il brano successivo. È di Weinberg, ebreo polacco perseguitato prima dai nazisti e poi da Stalin, che in Shostakovich troverà il suo mentore e più caro interlocutore. Il violoncello diventa pesante. Nulla più in comune con la nebulosa di note lanciate in aria da Bach. Il suono è scuro, livido. L’arco percuote le corde come un’ascia affilata e la musica si fa epico e struggente lamento. Fino a quando la passione esuberante e carnale di Piazzolla non spezza la fuga dolorosa. Ed è proprio con l’adattamento di Contrabajissimo di Piazzolla che il mago Brunello incanta ancora, slabbrando le corde, pizzicandole, moltiplicandole in invisibili bandoneón, tamburellando il ritmo di lunghi passi di tango, strascicandone passi e facendo roteare fino allo sfinimento teste e gambe di ballerini immaginari, intrecciati in uno spettacolare duello d’amore.
Il mago esce di scena, ma un’ovazione convinta lo reclama indietro. E così, magia nella magia, dopo aver seminato virtuosità sonore e abbracci di rara, pura musica, regala la dolce leggerezza di Gavin Bryars. Il loop della voce di uno sconosciuto, immortalata per sempre sul nastro, sale verso l’alto, prima seguita, poi accompagnata, poi spinta dalle spirali che l’archetto inala sulle corde amorose e che le dita spremono dal lungo ponte, collo e gola sfinita della cassa armonica, a forza di ripetere, senza parole: “Jesus’ Blood Never Failed Me Yet…”.
Anna Trevisan
Bassano del Grappa, Castello degli Ezzelini- 5 Agosto 2013
Operaestate Festival Veneto
“Mario Brunello, Solo Cello and…”