Archivio mensile:novembre 2013

16 novembre 2013, CSC Nardini, Bassano del Grappa.

Manuel Roque. Sharing di fine residenza.

di Anna Trevisan

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Le note cupe e solenni del Requiem di Fauré aprono lo spettacolo. Il corpo di Cristo è nel torso nudo del performer, nel suo torace, nel suo sterno, nel suo costato offeso da movimenti possenti che lo disarticolano fino allo spasimo. Un grumo di sedie rosse sulla sinistra del palco parla il colore della Passione. Il registro espressivo scelto dal performer sembra voler citare la teatralità espressionista di Francis Bacon, iniettando a tratti una riuscita drammaticità nel corpo ridotto a carne deformata e ferita, anche nel volto, stravolto da smorfie in bilico tra lirismo e crudeltà.

Il Requiem sostiene il corpo caduto, come imploso, sempre più impotente e soccombente. Dopo il torace, anche le gambe cedono, in una deformità penosa. Piedi e ginocchia si flettono verso l’interno, si trascinano in una camminata sofferente che resuscita la visione dell’handicap. Il corpo si arrende, eretto, e alza le braccia e le mani aperte al cielo. Il calvario doloroso del corpo sembra culminare nella crocifissione. Le gambe si incrociano, infatti, restando come inchiodate. Poi, il volto indossa la maschera farsesca dell’opera, mimando muto il canto. Quando il tragico sta per svaporare in farsa e opera buffa, l’immaginario alla Bacon ritorna nelle dita uncinate che arpionano l’aria, nella bocca slabbrata, nei movimenti distrofici di braccia e gambe, nella lotta estenuante del corpo contro se stesso, che per liberarsi usa mani rattrappite e spalle dislocate. Il movimento ondulatorio di braccia e torso apre una camminata sonora e sgangherata che cade sul palco con pesanti tonfi. Le mani si aprono sulla testa come corona di spine, come corna di animale. Le braccia si appendono dietro al collo, annodate ad un basto invisibile. E lottano in direzioni opposte, una tesa e aperta, l’altra chiusa e offesa in un pugno gonfio di rabbia e ribellione. Il pugno e il palmo si dividono in intenzioni contrarie. A tratti si cercano, quasi a volersi toccare e aiutare, come alla ricerca di quella scintilla perduta che la michelangiolesca Mano di Dio instilla all’Uomo.

La deposizione del corpo dalla Croce e il compianto del Cristo morto si offrono all’immaginazione nelle braccia del performer, che si staccano dall’irrigidita posa dilaniata, come se venissero amorevolmente sorrette da tante invisibili mani. Ammorbidite dal contatto caldo e lacrimoso, baciate, accarezzate dalle pie donne, le braccia si staccano finalmente dalla Croce. Ma la conclusione narrativa non arriva. La resurrezione è differita. A sorpresa, infatti, il l’artista sceglie di interrompere bruscamente il filo narrativo: di terga, a quattro zampe, si allontana. Il cambio repentino di ritmo e di dinamica si traduce in una progressiva (ma temporanea) liberazione del gesto, che poco dopo però ritorna a introflettersi, ripetendo con ridondanza lo schema iniziale di un corpo che lotta sfinito in smorfie deformanti, seppur con stilizzazioni più attente.

Né le luci né la musica, purtroppo, soccorrono il corpo, abbandonato ad illuminazioni identiche e volumi sonori invariati, che appiattiscono e smussano anche i picchi di drammaticità contenuti nella partitura fisica. Forse la scelta musicale del Requiem di Fauré -già di per sé così fortemente connotato di senso, tanto da orientare fin da subito l’immaginario verso direzioni cristologiche e sacre- rischia di saturare la libertà della visione, pregiudicando l’emergere dell’autentica intenzione dichiarata dall’artista: rappresentare il tema dell’identità multipla.

http://www.operaestate.it/

http://manuelroque.com/

http://www.mariechouinard.com

Manuel Roque. Prove di resurrezione

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31 ottobre 2013, CSC Garage Nardini
Simon Ellis e Chisato Ono. Sharing di fine residenza

di Anna Trevisan

Chisato-Ohno-512x420Nasce aperto e nel silenzio, questo spettacolo. Nella pancia screpolata del Garage Nardini, e proprio per questo così autenticamente pittorico, con quelle sue macchie di intonaco nudo.
Lei entra nella luce diffusa, la attraversa con indosso una t-shirt, pantaloni della tuta e calzettoni di spugna.
Mani, anche, dita, bacino. Impercettibilmente inizia una danza quasi privata, compiendo una segmentazione armonica dei movimenti, un’esecuzione attenta di concentrazione ed espansione di gesti, come se giocasse con l’impulso di una scintilla appena accesa.
Il suo corpo non si muove, è mosso da una mano delicata e invisibile.
Un’energia circolare le scorre dentro gentile, dalla punta delle dita a quelle dei capelli, insufflandole piccoli movimenti che alimentano un intero discorso, scandito in lunghe pause sapienti di ossimori. Una calma regia organizza le scene in un ritmo alternato di pieni e di vuoti sonori e visuali: silenzio/musica, luce/buio.

Quest’intermittenza continua crea una narrazione. L’intensità della danzatrice racconta una storia. Così guardarla diventa ascoltarla, mentre traccia fugaci ritratti di donne. Per un lungo attimo quella sua oscillazione controllata dell’anca evoca le posture medievali della Madonna “hanchée”.

Dal silenzio sonoro esce la musica con ritmo binario in levare. I movimenti si fanno aperti, esplorativi. Il corpo si libera in arcate di braccia e gambe, si interrompe in spigoli e gomiti, in torsioni e avambracci angolati e angolari. Sospiri di spalle e gomiti acuti. Polsi slacciati.
Quindi arriva al centro: addominali, ombelico, dorsali, bacino si legano in un movimento continuo, disegnano una donna che, per potenza espressiva sembra uscita da un colorato e assolato quadro di Renoir, intenta a sporgersi e ritrarsi da un invisibile balcone.

Buio. Musica. Poi torna il silenzio. Si accende un punto luce appeso al soffitto.
“Yes”. Dice lei sotto la pioggia dorata della lampadina. Ma non è Danae. La sensualità scompare nel controluce appena acceso, e lei ritorna ombra, figura sottile e corpo neutro uscito dal teatro delle ombre di Bali. Il volto ci osserva e si sporge, come a cercare il nostro sguardo.
Poi il corpo ci incanta e inizia una flessuosità alata, catturato dal controluce. La donna diventa fenicottero, animale, ombra di uccello e poi di nuovo ragazza che danza, finalmente, a ritmo di invisibili gamelan.
La musica ritorna, incalzante. Nasce un’altra trasformazione terribilmente femminile nella ribellione del bacino.
Ritorna pieno buio in sala, riempito dalla musica. Si accende il riverbero azzurrino di una pila elettrica. Dal corpo escono suoni, prove di gemiti animali, tentativi di voce. La luce si spande, il corpo si sparpaglia in una corsa agitata di braccia che remano in aria. Il volto ansima ma il corpo respira.
Il controllo dello spazio avviene per  sottrazione. La coreografia di Simon Ellis (che è anche regista e filmaker) si innesta dentro al corpo delicato di Chisato Ono come una seconda pelle. La grazia di lei, ballerina di levigato talento, che ha lavorato con Ohad Naharin e con la Batsheva Dance Company, solleva la complessità della tecnica, e i suoi gesti passano con disinvoltura dal geometrico al fluido,  consegnandoci uno spettacolo pieno di misura, gentilezza, equilibrio.

Se queste sono solo prove, aspettiamo tutti il finale.

http://www.operaestate.it/evento/chisato-ohno-simon-ellis/

http://skellis.net/

http://www.danceworks.net/teachers/chisato-ohno/

Un incontro perfetto. Simon Ellis e Chisato Ono

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