31 ottobre 2013, CSC Garage Nardini
Simon Ellis e Chisato Ono. Sharing di fine residenza
di Anna Trevisan
Nasce aperto e nel silenzio, questo spettacolo. Nella pancia screpolata del Garage Nardini, e proprio per questo così autenticamente pittorico, con quelle sue macchie di intonaco nudo.
Lei entra nella luce diffusa, la attraversa con indosso una t-shirt, pantaloni della tuta e calzettoni di spugna.
Mani, anche, dita, bacino. Impercettibilmente inizia una danza quasi privata, compiendo una segmentazione armonica dei movimenti, un’esecuzione attenta di concentrazione ed espansione di gesti, come se giocasse con l’impulso di una scintilla appena accesa.
Il suo corpo non si muove, è mosso da una mano delicata e invisibile.
Un’energia circolare le scorre dentro gentile, dalla punta delle dita a quelle dei capelli, insufflandole piccoli movimenti che alimentano un intero discorso, scandito in lunghe pause sapienti di ossimori. Una calma regia organizza le scene in un ritmo alternato di pieni e di vuoti sonori e visuali: silenzio/musica, luce/buio.
Quest’intermittenza continua crea una narrazione. L’intensità della danzatrice racconta una storia. Così guardarla diventa ascoltarla, mentre traccia fugaci ritratti di donne. Per un lungo attimo quella sua oscillazione controllata dell’anca evoca le posture medievali della Madonna “hanchée”.
Dal silenzio sonoro esce la musica con ritmo binario in levare. I movimenti si fanno aperti, esplorativi. Il corpo si libera in arcate di braccia e gambe, si interrompe in spigoli e gomiti, in torsioni e avambracci angolati e angolari. Sospiri di spalle e gomiti acuti. Polsi slacciati.
Quindi arriva al centro: addominali, ombelico, dorsali, bacino si legano in un movimento continuo, disegnano una donna che, per potenza espressiva sembra uscita da un colorato e assolato quadro di Renoir, intenta a sporgersi e ritrarsi da un invisibile balcone.
Buio. Musica. Poi torna il silenzio. Si accende un punto luce appeso al soffitto.
“Yes”. Dice lei sotto la pioggia dorata della lampadina. Ma non è Danae. La sensualità scompare nel controluce appena acceso, e lei ritorna ombra, figura sottile e corpo neutro uscito dal teatro delle ombre di Bali. Il volto ci osserva e si sporge, come a cercare il nostro sguardo.
Poi il corpo ci incanta e inizia una flessuosità alata, catturato dal controluce. La donna diventa fenicottero, animale, ombra di uccello e poi di nuovo ragazza che danza, finalmente, a ritmo di invisibili gamelan.
La musica ritorna, incalzante. Nasce un’altra trasformazione terribilmente femminile nella ribellione del bacino.
Ritorna pieno buio in sala, riempito dalla musica. Si accende il riverbero azzurrino di una pila elettrica. Dal corpo escono suoni, prove di gemiti animali, tentativi di voce. La luce si spande, il corpo si sparpaglia in una corsa agitata di braccia che remano in aria. Il volto ansima ma il corpo respira.
Il controllo dello spazio avviene per sottrazione. La coreografia di Simon Ellis (che è anche regista e filmaker) si innesta dentro al corpo delicato di Chisato Ono come una seconda pelle. La grazia di lei, ballerina di levigato talento, che ha lavorato con Ohad Naharin e con la Batsheva Dance Company, solleva la complessità della tecnica, e i suoi gesti passano con disinvoltura dal geometrico al fluido, consegnandoci uno spettacolo pieno di misura, gentilezza, equilibrio.
Se queste sono solo prove, aspettiamo tutti il finale.
http://www.operaestate.it/evento/chisato-ohno-simon-ellis/
http://www.danceworks.net/teachers/chisato-ohno/