Giulio Cesare. Pezzi staccati | Romeo Castellucci

Giulio Cesare MARCO ANTONIO 01A distanza di quasi vent’anni dal debutto del suo Giulio Cesare qui riproposto in alcuni frammenti, sopravvive tutta la dirompente e provocatoria irriverenza di Romeo Castellucci, che è diventata vera e propria cifra distintiva del suo fare teatro. Un teatro divergente, eccentrico, eppure in asse con la Classicità perché colto, coltissimo e audace. “…Vskji”: “Chi era Costui?”– saremmo tentati di chiedere tutti al personaggio vestito di bianco, come epiteto per questo enigma spaventoso che risveglia illustri fantasmi: Groto(w)ski e/o Stanislavski? Ma tutti eludiamo la domanda principale, per praticità: perché scomodarli, i fantasmi?

“…Vskji”, dunque, si esplora con un sondino lo sfintere del naso e proietta sul fondale di statue neoclassiche il risultato. Cesare entra in rosso smagliante, producendo un rumore dei suoi passi amplificato da invisibili microfoni. Il suo alter ego –un busto bianco in gesso- viene calato giù dal soffitto con una corda e lasciato penzoloni a testa in giù. L’uso dello spazio è geniale, pittorico e in armonia sorprendente con il Teatro Olimpico di Vicenza, che offre una scenografia quasi “naturalmente” congeniale alla icastica ieraticità degli attori in scena.

La Metafisica di De Chirico con Castellucci prende volume, assorbendo letteralmente la parola, che si auto esilia progressivamente dalla declamazione al frammento, dalla voce al discorso afono. L’assenza, la mancanza -o forse l’origine- della parola è sottolineata anche visivamente. Prima dalle cavità della narice, poi dalla gola tracheotomizzata di Marco Antonio. Lui, che non potrebbe più parlare ma parla, invece, e pronuncia con ostinazione il suo discorso. Le sue parole sono afone e quasi incomprensibili eppure già note e per questo ancor più drammaticamente efficaci. Come se il già detto, per essere compreso, fosse meglio dirlo senza udirlo. Come se il già stato, per non ripetersi, dovesse venir solo mostrato, non spiegato.

Giulio Cesare invece non parla ma indica, usando una gestualità immensa, letteralmente amplificata, che produce rumore. L’assertività del pugno chiuso, il diniego perentorio, lo sdegno, l’ordine imperioso di andarsene fuori da qui, tutti, la mano come una pistola, le braccia rotanti come lame di senso silenziato ma ancora in vita creano un universo, un linguaggio eccezionale. Frasi intere si costruiscono con i suoi lunghi gesti: “Andate via da qui!”, “Il Futuro è alle spalle”, “State buttando tutto all’aria” –sembra urlare Cesare, mentre solleva le braccia verso l’alto e le fa ruotare come a sgombrare tempeste.

La sua morte ne fa un cadavere chiuso in un sudario con la zip e apparizione velata rosso sangue. Il quadro scenico è muto di uomini ma denso di geometrie compositive: il busto di Cesare che penzola dal soffitto, il cubo/rocchetto squadrato con scritto “ARS” sul quale sale poi Marco Antonio ad arringare la folla, sforzandosi di continuare a parlare e noi di ascoltare. Poi, la musica soverchia la parola, ed una ad una le nove lampadine si spengono, lasciando posto al buio.

Anna Trevisan

67° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza

Teatro Olimpico di Vicenza, 3-4 Ottobre 2014

Giulio Cesare. Pezzi staccati

Intervento drammatico su William Shakespearedi Romeo Castellucci; ideazione e regia di Romeo Castellucci; con Dalmazio Masini, Simone Toni e Frans Rozestraten ; assistenza alla regia Silvano Voltolina; tecnica Gionni Gardini; produzione Socìetas Raffaello Sanzio; grazie alla collaborazione di Accademia di Belle Arti di Bologna

http://www.tcvi.it/it/eventi/2014-2015/67-ciclo/412/giulio-cesare-pezzi-staccati

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