
Patricia Zanco in “Macbeth?”. Photo by Raffaella Vismara
“Macbeth? Study for wo.men”
Che roba è?
Non è il Macbeth di Carmelo Bene. Non è il Macbteh di Testori. È il Macbeth di Patricia Zanco e di Vitaliano Trevisan. “Che roba è?” chiede e si chiede Macbeth/Zanco appena entrato/a in scena. Tra gli spettatori stupiti di trovarsi un Macbeth che è donna, o forse no? Un ticchettio digitale con luci accese in platea prepara l’ingresso delle attrici sulla scena. “Brutto è bello e bello è brutto” sentenzia tra il serio e il faceto Francesca Botti alias strega, soldato, messaggero e molto altro ancora, incarnando ogni personaggio shakespearianio in modo pressoché perfetto.
“Sei un uomo?”
Il cranio di Macbeth appoggiato sulla bocca del proscenio è illuminato di taglio da una luce che piove come quella che illumina, indimenticabile, il cranio di Marlon Brando in Apocalypse Now. Ma il personaggio di Macbeth non condivide quasi nulla con Kurtz, se non la superficie di clamorose azioni sanguinarie. “Sei un uomo?” –chiede Lady Macbeth a Macbeth. O forse Macbeth è “una femminuccia” – insinua lo stesso Macbeth contro se stesso. È un dubbio quasi amletico quello che lo divora, e lo consegna alla lucidità crudele ed efferata della bellissima (e brava) consorte interpretata da Beatrice Niero.
“Bang bang. My baby shot me down”
Per Carmelo Bene “Macbeth è l’eroe annientato dal suo stesso progetto”. Per Zanco – Fatebenesorelle Macbeth è l’antieroe, annientato dal e al femminile. “Bang bang. My baby shot me down” canta da dietro le quinte una voce di donna, mentre si apre il sipario su un allestimento spoglio e minimale, dove campeggia al centro la proiezione video in diretta delle attrici sulla scena, come specchio di specchio.
Macbeth quasi trascolora e impallidisce dentro al corpo giunonico di donna della Zanco che, nonostante la voce corposa e robusta, trema di fronte alla smodata e arrogante bellezza di Lady Macbeth e ai lazzi puntuti e affilati che, come un ipertesto continuo, la terza attrice – strega, soldato-, dottore e spiritello- sciorina a commento dell’azione scenica.
Il perturbante e la croce identitaria
Il perturbante affiora prepotente attraverso la fisicità ambigua e mai “risoluta” della Zanco, consegnandoci un Macbeth destrutturato, fragile, disorientato, che si interroga e ci interroga sul tema della violenza e della crudeltà in maniera nuova, non ovvia, spiazzante. Il fatto che siano tre attrici donne a dividersi sulla scena il punto interrogativo su Macbeth racconta di una sofferta e dolorosa croce identitaria, in bilico tra rifiuto del corpo e rifiuto del genere, tra ricerca di accettazione e desiderio di conformismo. Macbeth è un uomo “effeminato”, non solo perché interpretato da una donna ma anche perché nel clichè machista un vero uomo non ha dubbi e rimpianti, mai. Lady Macbeth è una donna virago, interpretata da una donna molto femminile ma esacerbata da un personaggio acutamente maschile, votato a logiche di potere e di dominio. La terza attrice è la madre-strega, la nutrice di spettri, la risolutrice di dubbi, l’esaminatrice clinica di psicosi e malattie. La donna dunque come incubatore di tutto il male e di tutto il bene dissolti insieme.
Chi è Macbeth?
Tra le scene visivamente più riuscite di questa storia incompiuta di crudeltà perfetta c’è senz’altro quella iniziale, in cui Lady Macbeth si sventaglia a testa in giù la sottana, sollevando capelli e vesti in un turbinio eccitato e ispirato: “Toglietemi il sesso e riempitemi di fredda crudeltà” –dice, raggelando sadicamente ogni traccia di Eros. E forse è Lady Macbeth la vera protagonista del cammino omicida di Macbeth. Non solo drammaturgicamente ma anche sulla scena. “E vorresti essere un uomo?” chiede beffarda e collerica ad un Macbeth spaventato, che non sa replicare se non con indosso un’armatura, che ciclicamente toglie e mette, mette e toglie, come scafandro contro il rimorso, contro la paura, contro il nemico invisibile che arriva dal bosco di Birnan.
Diavoli, rimorsi e umanità
Sguaiatamente brava la strega-spiritello-soldato-messaggero- psicopompo di Francesca Botti, che con un cono di carta bianco usato ora come cappello, ora come megafono, ora come amplificatore acustico inchioda lo spettatore al rimbombo furioso della morte che bussa alla porta.
Un icastico Macbeth/Zanco seduto molle sul trono con i piedi a ciondoloni che non toccano terra, e moltiplicato dalla ripresa video, racconta di una vittoria sanguinaria, sconfitta da quello che al maschile si chiama “rimorso” e al femminile “umanità”. È in effetti proprio l’estrema “umanità di Macbeth/Zanco a corrodere dall’interno il mito della violenza vittoriosa, incrinando l’ambizione al potere assoluto.
Il dubbio di Macbeth: tra identità di genere e paura della castrazione
L’indecisione di Macbeth è un amletico refrain che riguarda anche l’identità di genere: “La mia testa è piena di scorpioni” urla Macbeth mentre Lady Macbeth lo apostrofa come un “evirato dalla paura”. “Se mi vedrai tremare chiamami pure femminuccia” – fa dire a Macbeth Vitaliano Trevisan, sottolineando un conflitto di genere che diventa anche etico e morale. “Sono di nuovo un uomo” si dice Macbeth/Zanco tornato in sé e scappato dai proprio dubbi.
Le parole degli altri
“Lasciamoci senza meraviglia come sparse nuvole estive” si dicono i consorti mentre uno strepitoso duetto di morte costeggia con una danza macabra i bordi della furia omicida che sta per compiersi.
L’ironia di Shakespeare / Trevisan filtra a fiotti nei camei interpretati da Francesca Botti e si diluisce in pena interiore nelle parole di Macbeth/Zanco: “Sick at heart” –dice, “malato al cuore”, traduce “perchè a volte le traduzioni letterali sono le migliori”. E poi aggiunge: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, infilando i Soldati di Ungaretti nella battaglia per il trono di Scozia.
Il corpo è carcere, la morte è liberazione
Una livida Lady Macbeth si muove stanca nella scena degli incubi di sangue, quasi rimpicciolita dalle emozioni, mentre Macbeth, al contrario, sembra rinvigorito dal cupo destino di morte che incombe su di lui e che affronta infine con indosso l’armatura, “come un orso che affronta la muta dei cani”. Una morte che sembra attesa da Macbeth /Zanco più come una liberazione da un corpo-carcere che come una fine immeritata. Ma della fine di Macbeth /Zanco non sapremo mai la verità– come chiude Trevisan – perché “non esiste verità nell’atto che possa dirci la verità sul soggetto”.
Anna Trevisan
Teatro Ridotto di Vicenza, 20 gennaio 2107
Macbeth? Study for wo.men
regia Patricia Zanco ; traduzione e adattamento Vitaliano Trevisan; drammaturgia attore Daniela Mattiuzzi ; con Patricia Zanco Francesca Botti, Beatrice Niero ; sculture Alberto Salvetti ; costumi Rossit Zaccaria Zanco ; collaborazione Mauro Zocchetta, Corrado Ceron, Valentina Brusaferro, Cosimo Guasina, Alessandra Fusciardi; produzione fatebenesorelle teatro e La Piccionaia
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