Siro Guglielmi e Giorgia Nardin | Dance out!

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Quando il codice si spezza erompe l’indefinibile, che inonda la definizione, che sommerge il conosciuto e irrora il nuovo. Ciò che è sconosciuto è diverso, divergente dagli schemi. È emersione tellurica che scuote il già noto, il già visto, il già detto, e lo strizza, lo centrifuga, lo shakera per bene, lavandone i contorni, i bordi, i confini, sfilacciandoli fino a farli scomparire.

Di che colore è il nuovo se non di tutti e di nessuno? Che profumo ha il nuovo se non tutti e più nessuno?

Lo strano, lo strambo, il fuori dal comune è una creatura esotica come l’ornitorinco, animale fantastico eppure reale che forse conosciamo dai quiz o forse dai libri di Umberto Eco e che tuttavia, con o senza di noi, esiste e nuota nell’acqua, con quelle sue pinne che sono anche zampe, con quel suo muso che è anche becco, con quel suo corpo che trasgredisce ogni classificazione.

“Queer” è la parola che racchiude tutto questo, lo sprigiona, lo contiene, lo scatena. “Queer”: detto, pronunciato, celebrato. È la chiave segreta che ci apre al linguaggio coreutico e drammaturgico di questi danzatori-profeti, che si esibiscono davanti a noi in una serata particolare – quella del 18 maggio – in cui ricorre la Giornata Internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.

Luce, dunque, in sala. In piedi, a torso nudo e con pantaloncini sgargianti e attillati, sopra a gambe di una lunghezza efebica, c’è Siro Guglielmi. Una grammatica classica del movimento con arabesque e piquet slegati in suoni pop e plié disarticolati dal civettare delle anche. Una danza troppo ricca e traboccante, che disorienta. Instabile, mai ferma, piena di grazia eppure graffiante, ammiccante eppure pudica. Una coreografia che confonde la narrazione, che ci fa “perdere il filo” portandoci allo stordimento, mentre Bill Frisell ci consola con “The end of the world”.

E poi arriva Giorgia Nardin, con la sua scanzonata insicurezza, che dà del tu al pubblico e dà fuoco ad un bastoncino di incenso e alla nostra immaginazione. Parla, sorprendente affabulatrice e cantastorie, introducendoci ai suoi appunti, al suo diario di bordo scritto insieme ad un’artista figlia della diaspora armena, che vive in Oregon.

Ci invita a fare uno “sforzo di immaginazione”, per favore. E ci incanta gli occhi con le delizie di un giardino che non c’è, di alberi e fiori e piante e odori di spezie che non ci sono ma che esistono attraverso di lei, attraverso la sua voce e attraverso il suo corpo, offeso da orribili bermuda dorate e calzettoni che contraddicono i tessuti preziosi, i ricami e i veli che ci chiede di immaginare. E mentre ci irretisce le narici d’incenso, lascia fluire in musica un canto tradizionale armeno. Allora, all’improvviso, nonostante e proprio per quelle ascelle non depilate, per quell’abbigliamento così smaccato e antierotico, si trasforma in una creatura che danza in modo così sensuale e così teneramente, autenticamente erotico da risultare commovente. È tutte le donne e nessuna. È l’odalisca delle cartoline e la femminista arrabbiata. Ma, soprattutto, è una persona che sorride di un sorriso così luminoso, così felice da essere contagioso. Quel sorriso è l’incrocio perfetto delle civiltà sepolte e remote con il contemporaneo, è la porta che collega ai meandri segreti della memoria, che screpola il cielo di carta e indica la verità, oltre la maschera, della rappresentazione.

E danza l’incredibile ossimoro tra quello che mostra e quello che è quando danza. La dolcezza con cui indietreggia di schiena, la sensualità e l’abbandono, il languore che le divarica la pelle quando solleva le braccia sfiniscono gli occhi e trascinano via la polvere della superficie. Quando smette di danzare e si siede al tavolo, per leggere a voce alta un testo, ci ha in pugno.

“Queer” non è soltanto l’eccentricità dell’impensato, è la simultaneità delle possibilità.

Anna Trevisan

20 settembre 2019 | Note a margine. Le parole per dirlo

Caro Massimo,

ho letto solo ora il tuo commento alla mia recensione al bello spettacolo Dance Out, di Siro e Giorgia.

Grazie per quanto scrivi, perché mi hai aiutato a capire i forti limiti del mio modo di esprimermi. Sono rimasta molto male nel leggerlo, è stata davvero una piccola grande ferita, perché quanto scrivi è davvero l’opposto di quanto avrei voluto esprimere e comunicare di questo spettacolo. Evidentemente, non solo non ci sono riuscita, a tessere l’elogio del lavoro di Siro e Giorgia, che peraltro conosco personalmente, ma ho sortito l’effetto contrario. Sono dispiaciuta, avvilita e spiazzata, perché tutto intendevo tranne offendere la sensibilità e l’intelligenza del lavoro e degli artisti.

L’ornitorinco per me è un animale pieno di infinita poesia, un elogio alla vita e alla sua bellezza sconfinata e immensa, un riferimento pieno di pregnanza filosofica – perché usato e abusato nel linguaggio dei semiotici e della filosofia- un animale fantastico in ogni senso, insomma, che dimostra la vittoria della libertà sulla rigidità delle convenzioni, delle costrizioni, del già detto, del già noto, della saturazione dell’immaginario.

Lo strambo, l’esotico credo siano etichette che ben descrivono le modalità con le quali, nella cornice in cui vive la maggior parte delle persone, viene percepita la deroga alla norma. Ma nell’uso di queste parole non c’è da parte mia nessun giudizio di valore. (Chi l’ha detto che l’esotico è negativo? E perché?).

Per quanto riguarda il corpo di Giorgia e le mie parole su di lei, sono state dette con grande amore e stima: trovo che Giorgia sia bellissima e davvero brava. Ancora una volta, le mie parole su di lei hanno l’intenzione di descrivere, non di giudicare. (By the way, nemmeno io mi depilo le ascelle!).

Purtroppo, temo che anche queste mie parole usino un lessico molto lontano dal tuo e che ti stiano urtando più di prima. Forse mi hai messo schiena al muro perché il tuo è un perentorio invito a tacere (“su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”-scriveva Wittgenstein). Eppure, sento la necessità di continuare a scrivere della danza, della diversità e della bellezza, anche e proprio perché mi/ci mancano ancora le parole per dirlo.

Un abbraccio,

Anna

18 maggio 2018
CSC Garage Nardini, Bassano del Grappa
Ore 21.00
DANCE OUT!
Giorgia Nardin e Siro Guglielmi

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