
“Siamo fatti della stessa materia di cui s’intessono i sogni, e i sogni sollevano le palpebre come i piccoli bambini sotto i ciliegi, dalla cui corona il suo cammino oro pallido la luna piena inizia attraverso la grande notte […] E tre cose sono una: un uomo, un oggetto, un sogno”. (Hugo von Hofmannsthal, Terzine sulla caducità, III.[1])
“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos”. (Eraclito, Frammento 45)
“L’angoscia – Die Angst – ha un’innegabile connessione con l’attesa – Erwartung –: è angoscia prima di e dinanzi a qualche cosa – vor etwas –. Possiede un carattere di indeterminatezza – Unbestimmtheit – e di mancanza d’oggetto – Objektlosigkeit –; nel parlare comune, quando essa ha trovato un oggetto – wenn sie ein Objekt gefunden hat –, le si cambia nome, sostituendolo con quello di paura – Furcht” (Sigmund Freud, Opere)
C’è qualcosa in Chiara Elisa Rossini che lascia stupefatti. Non è solo il suo bel volto, dai tratti forti e marcati. Non è solo la sua potente fisicità, la sua qualità di presenza sulla scena; non è solo la sua voce, capace di timbri scuri e chiarissimi, la sua espressività, la sua capacità interpretativa così versatile e intensa, così bruciante. Ciò che sorprende di lei è che tutte queste doti coesistano simultaneamente in una sola persona. In lei il maschile ed il femminile sembrano aver fatto pace per dar luogo ad un intero, screziato di colori, di tonalità, di nuances che ci prendono per mano e ci accompagnano in un lungo viaggio: quello dentro a noi stessi, attraverso una partitura drammaturgica intelligente, variegata e piena di suggestioni visive che richiamano i grandi classici dell’arte contemporanea. Il suo “Angst vor der Angst” è molto più di un monologo: è uno spettacolo affollato di personaggi, di citazioni colte e popolari, di spunti per leggere la contemporaneità e, soprattutto, un invito ad attraversare la paura e a ritornare nel bosco del “c’era una volta”.
I capelli sciolti e ricci, ribelli come quelli di una Gòrgone, un mantello nero buttato sulle spalle, Chiara Elisa Rossini aspetta in piedi l’ingresso del pubblico. Ci guarda entrare e prendere posto, mentre in mano tiene un giocattolo a molla: è una scatola colorata, con un carillon azionato manovella. Quel carillon ci riporta al suono dell’infanzia e, nello stesso tempo, alla paura panica che da bambini avevamo che proprio da quella magica, sinistra scatola potesse irrompere all’improvviso uno sguaiato pagliaccio. Quella scatola custodita tra le mani dall’attrice si trasforma presto in un oggetto perturbante, (re)suscitando un’atavica paura dell’inanimato insieme al ricordo del racconto “L’uomo della sabbia” di E.T.A. Hofmann.
“C’è una fiaba in ogni cosa: nel legno, nel tavolino, nel bicchiere, nella rosa … Ecco perché caro spettatore sei stato invitato … ma … è un discorso frammentato”- ci avvisa l’attrice parafrasando la rimata filastrocca di Gianni Rodari. Il buio cala nella sala, illuminato da due indizi: questo spettacolo è una fiaba ed è costruito per frammenti. Si riaccendono le luci e il personaggio fiabesco dell’apertura, un po’ strega, un po’ maga, è svaporato. Al suo posto, una dea post-rock alla Laurie Anderson che al microfono declama in inglese un elenco di parole, mentre dietro di lei scorre un video proiettato sulla parete. “We have no fears…. We have….science, medicine, antiobiotics, … knowledge…”-dice, con una voce strepitosa, capace di inghiottire la musica e sputarla fuori in prosa. Poi, con un nuovo repentino cambio di personaggio, ci parla con timbro chiaro e bianco come il latte: “Il desiderio ci induce spesso ad incontrare ciò che temiamo”. E la dea post-rock si trasforma nell’impensato: una creatura della natura, con indosso una pelliccia e delle lunghe corna. Dietro di lei si accende sul video un bosco di neve e il suono della tormenta. L’attrice scompare e diventa legno, vento, canto, lasciandoci assaggiare il gusto naturale e vivo dell’inverno, il suo lucore, il movimento febbrile degli animali che cercano di sopravvivere al gelo. Il costume-totem indossato da Chiara ricorda Joseph Beuys e le sue performance ecologiste.
Ma dei rumorosi spari di vernice rossa spezzano il bianco del fondale e, con esso, anche le potenti suggestioni sciamaniche di poco prima. Il rosso sangue improvvisamente acceso sul telo bianco fa pensare al colore della guerra e delle armi, e allo spazialismo di Lucio Fontana derubato della pace.
Il mondo va troppo veloce perché Chiara Elisa Rossini possa fermarsi e con camaleontica capacità attorale si trasforma ancora per raccontarci una celebre fiaba di Grimm: “Il pescatore e la moglie”. Seduta su una sedia, afferra una mela rossa. Inizia a sbucciarla e a raccontare. Addenta la mela , la mastica, e intanto parla e snocciola la storia di un pescatore che incontra un pesce parlante e gli risparmia la vita. E mentre ci racconta questa fiaba- anatema sull’avidità e sull’ingordigia umana- vediamo scorrere dietro di lei le immagini video di una bocca che divora una mela, che la ingurgita smodatamente, che la ingoia senza più nemmeno sentirne il sapore. Quella mela divorata diventa immediatamente il simbolo epifanico della Terra, consumata senza misura dagli essere umani. L’opulenza, il disgusto, la nausea, la noia, la voracità, la prepotenza, l’arroganza, la violenza dell’essere umano traboccano da quel frutto proiettato sul fondale e la fiaba di Grimm riceve nuova luce e nuovo significato dal cortocircuito con il contemporaneo.
Alzi la mano chi non ha mai avuto paura. Paura della notte, paura degli omosessuali, paura del contatto, paura dei ricordi, paura degli sconosciuti… Una paura per tutte: la xenofobia, la paura dello straniero… La voce di Chiara pronuncia concitata una sfilza di cose, fatti, sentimenti, pensieri che fanno paura. E poi ci racconta un aneddoto, costringendo la nostra immaginazione a pensarci in volo su un aereo, seduti accanto ad una coppia di musulmani, mentre le turbolenze lo scuotono e lo fanno tremare …
Volta la carta e racconta altre fiabe, altre storie, dai fratelli Grimm e dalla tradizione di fiabe popolari italiane. Dagli altoparlanti sentiamo uscire le voci di Salvini e di Trump, che risuonano come le voci di un orco, in mezzo al bosco. Il favoloso e il reale di nuovo si mescolano insieme in modo esemplare, esortandoci a diventare eroi coraggiosi, a vincere i mostri, le streghe, i malefici di oggi. Ma compare un oggetto in scena, la maschera antigas, che gela il sangue nelle vene, perché non è naturale. Non è naturale nemmeno la paura che suscita. In un nuovo dialogo tra la scena reale e il video proiettato alle spalle, la maschera antigas evoca la paura dell’annientamento totale, che non risparmia nemmeno i bambini. Sogno, incubo, profezia, ricordo si uniscono in una raggelante visione, che culmina nella bara trasparente portata a braccia da Chiara. Con quella bara, in scena entra la rappresentazione materiale della nostra paura più profonda: quella della morte. La fiaba di “Giovannin senza paura” si intreccia ai frammenti del contemporaneo, alle sue guerre, ai suoi morti. “Hai mai trascorso del tempo vicino ad un corpo che non respira più?”- ci chiede l’attrice, continuando il suo serrato colloquio con gli oggetti scenici.
Un diavolo rosso emerge dal pennello che l’attrice impugna per dipingere il telo bianco. Maschera apotropaica, rituale che trasfigura la paura in porta da attraversare. Il richiamo potente, quasi insistito alla natura congeda lo spettatore, lasciandolo spiazzato per la schietta genuinità del messaggio finale. Una semplicità conclusiva non facile e terribilmente vulnerabile di fronte allo sguardo cannibale del consumatore-spettatore.
Dedicato a tutti quelli che vogliono attraversare il bosco, vincere gli orchi e (ri)trovare il tesoro sepolto nel ventre di Madre Terra.
Anna Trevisan
OPERAPRIMA FESTIVAL 12 settembre 2019, Teatro Studio, Rovigo Welcome Project /Angst Vor Der Angst Di e con: Chiara Elisa Rossini Assistenza ed elaborazione video: Aurora Kellermann Musiche originali: Munsha Assistenza tecnica: Silvia Massicci Riprese video: Marina Carluccio Coproduzione: Teatro del Lemming