
“Il suono (cioè il silenzio e le sue diverse modulazioni, così come i rumori che ne spezzano la trama) non si rivolge solo all’orecchio; impregna il corpo intero. […] Così il suono crea il suo ambiente, lo organizza, gli dà forma. Ne cambia la struttura dinamica molecolare imponendo a quest’ultima una danza su variazioni sonore. È evidente che l’aria non è la stessa se rimane silenziosa o se si anima per effetto delle vibrazioni acustiche”.
Alfred Tomatis, Ascoltare l’universo. Dal Big Bang a Mozart
Il buio ci attende, dietro alla porta chiusa di una delle stanze del Centro Universitario. Nell’androne dove aspettiamo di entrare, c’è via vai continuo di biciclette, libri, studenti, risate e le aule studio brillano di luci al neon. Il buio, questo sconosciuto, che compare quando caliamo le palpebre e ci addormentiamo, che ci accompagna nel sonno, che ci conduce nel sogno. Il buio: apertura segreta su mondi possibili, nostro amato e temuto sodale.
Quando lo spettacolo sta per avere inizio, al pubblico viene chiesto di mettersi in fila indiana e di lasciarsi condurre nel buio della sala, guidati dal nostro ignoto vicino. Tra ilarità e disagio, ci infiliamo nel buco nero della stanza, dove progressivamente ci abituiamo al buio.
Non conosciamo lo spazio dove ci viene chiesto di sederci. Ascoltiamo docili le raccomandazioni snocciolate dalla voce aperta e chiara della poetessa e scrittrice non vedente Marta Telatin. Il suono delle sue parole abita il buio con naturalezza e si muove ondivago nello spazio raggiungendoci come una carezza.
Scoppia un silenzio innaturale zuppo di attesa e di agitazione. Sono probabilmente in pochi ad essere abituati a sostare nel buio in stato di veglia e per un tempo prolungato. Lo spettacolo, ci avvisano, durerà quaranta minuti. Una persona dal pubblico si alza nervosa e abbandona la sala. La paura del buio lo insegue e se ne esce dietro di lui, come un’ombra. Noi rimaniamo seduti, completamente liberi e disponibili a partire finalmente per questo eccentrico viaggio.
Come una danza arriva il suono di due voci femminili che non conosco. Altre istruzioni e poi il tintinnio ovattato di un diapason accorda i nostri corpi ai loro, le loro voci alle nostre orecchie. Siamo pronti per ascoltare.
Incredibile sentir arrivare come un’onda il canto a due di queste strepitose voci femminili. Sono voci argentine, fresche, che zampillano e sgorgano come acqua di fonte. Ci irrorano gli occhi, lasciandoli stupefatti. Le vediamo ballare, gonfiare le lunghe sottane all’aria aperta e piena di sole, stendere i panni colorati ad asciugare la vento, danzare in mezzo all’erba del prato, rincorrersi e giocare. Le ascoltiamo raccontare d’amori dolenti e di ninne nanne antiche, in lingue e dialetti sconosciuti, che riverberano nella stanza come pepite d’oro, come gemme preziose incastonate in un buio che improvvisamente dilegua per svaporare in un vuoto senza paura. Percepiamo i corpi delle due cantanti, che respirano e si muovono nello spazio sprigionando il loro canto.
La voce adamantina di Marta Telatin dilata il buio, lo libera, lo scuce con le sue parole limpide, senza eco. Parole poetiche, inanellate senza orpelli, regalate all’universo senza scopo di lucro, regalate al mondo intero, radianti e rapide, forti e chiare, libere e felici. Sono parole di luce, di gioia, ambrate, perlacee, smeraldine. Senza magniloquenza, essenziali e colme di esperita sapienza. Nude ci ancorano a terra e ci lanciano in cielo. Sono parole che conosciamo, perché le abbiamo lette nei suoi libri. Ma, qui al buio, ne sentiamo in modo nuovo il significato, ne percepiamo la musica e la melodia senza spazio e senza tempo: Forse per la prima volta, le ascoltiamo con l’intensità e la cura che meritano, lasciandole sorvolare lievi le nostre abitudini estetiche, lasciandole entrare e fare breccia tra i nostri pregiudizi scolastici e le nostre piccinerie accademiche, lasciandole seminare il nuovo, che ci destabilizza con vertiginosa leggerezza, sollevandoci in alto, in un cosmico volo infinito.
Le parole di Marta, pronunciate con una morbida e tagliente naturalezza, diventano oasi e cuscini dove appoggiarsi, immaginifici ponti da attraversare, occhiali per vedere, finalmente, lo sconfinato universo.
Scopriamo che sperimentare il buio in stato di veglia è come sperimentare il vuoto, vederlo, abitarlo. Scopriamo che il buio è il vuoto. Un vuoto orientale, non sottrattivo, non spaventoso. Una zona di rarefazione dell’ego, rigenerante e rigenerata in nuove dimensioni e forme. Scopriamo il potere attivante del buio, il suo saper fare spazio per farci entrare. Scopriamo nel buio un esaltatore di sapidità dell’udito, della vista e dell’immaginazione. Scopriamo che il suono ha un potere rigenerante e che converge sorprendentemente con le qualità del buio, con il suo essere assenza di luce eppure sua manifestazione.
Grazie alle voci meravigliose di Elida Bellon e Giulia Prete, che hanno tessuto racconti in canto, accompagnandoci ai confini del tempo e alla voce chiara, potente e necessaria di Marta Telatin, che con la sua poesia ci consegna la chiave segreta per abitare insieme a lei il buio, mostrandoci gli sconfinati confini dell’universo.
Anna Trevisan
Domenica 16 Febbraio 2010 Ore 18.00, Centro Universitario di via Zabarella, Padova Chiaro di voci. Canti e parole al buio Concerto di canti di tradizione popolare del mondo A cura di Duo D’AltroCanto Letture poetiche di e con Marta Telatin