La Biennale Cinema | Diario del Mostro Marino

Cari compagni!

Lido Di Venezia | Lunedì 7 e martedì 8 settembre 2020

Inizia come una commedia, cresce come un dramma, poi una tragedia, si conclude come un film di Frank Capra. Si comprende allora, in Cari compagni! l’uso del bianco e nero, la fotografia del ricordo e del rimosso che torna, come in Roma di Cuaron. Il film di Končaloskij, nel suo attraversare diversi dispositivi narrativi, ripercorre la vita professionale del regista, oscillante fra Russia e Stati Uniti. Nel corso degli anni il regista è passato da un film del 1966 -tipico del disgelo krushoviano e tutto girato in un kolchoz (“Storia di Asja che amò senza sposarsi”) – a film hollywoodiani di qualità più o meno buona (“Maria’s lovers” , “Tango e Cash”, “A trenta secondi dalla fine”, quest’ultimo da un soggetto di Kurosawa), per giungere a girare negli ultimi anni due opere di grande bellezza e impatto emotivo, “Le notti del postino” e “Paradise”, ambedue viste a Venezia.

Cari compagni! implicitamente affronta anche la vicenda familiare del regista e del fratello, il pluripremiato cineasta Nikita Mikhalkov. Sono appartenuti per nascita alla ristretta élite culturale sovietica che, compromessa con il regime, in cambio, otteneva per i suoi membri rilevanti libertà espressive e di movimento. Il padre scrisse i versi dell’inno dell’URSS (abbandonati dopo l’ ’89 conservando la musica) che, per qualche secondo, si ode alle televisione nel corso del film. Probabilmente la famiglia Mikhalkov frequentava Solokov, il cantore della guerra civile nella regione del Don e premio Nobel nel 1965, irriso nel film quale bugiardo di regime. Sulla regione del Don, come una maledizione, riecheggiano i ricordi della guerra civile, dei massacri di cosacchi e kulaki. Nel 1962 tanti rimpiangono Stalin che, con deportazioni ed esecuzioni, pacificò la regione. Nel giugno del 1962, nonostante “il disgelo” seguito al XX congresso del PCUS, lo sciopero degli operai di una importante fabbrica fu represso nel sangue, ne fu cancellata la notizia e la memoria, e il fatto è riemerso dagli archivi solo negli anni 90.

La cancellazione della memoria è la materia del film. “Come possono scioperare contro lo stato socialista?” “Non capisco.” “Perché lo fanno?”. Nell’illusione di possedere un metodo scientifico e infallibile di interpretazione dei fatti sociali, i funzionari di partito si pongono questi interrogativi, con effetti prima comici, poi tragici. Semplicemente la Storia non segue lo storicismo e gli eventi, i desideri e le aspirazioni ignorano le direttive di partito. Il piano quinquennale di Krusciov è fallito, così come falliranno i successivi; la produzione alimentare si è contratta, i prezzi salgono, i salari calano. Sta montando la crisi dei missili a Cuba. Il disorientamento e la nostalgia dilagano: “Quando c’era Stalin i prezzi calavano di anno in anno”. Fedele alla linea, contro gli affetti, contro l’evidenza dei fatti, la protagonista si schiera per la dura repressione degli scioperanti “alcolizzati, ex-galeotti”, inconcepibile anomalia di lavoratori che scioperano contro lo stato dei lavoratori. Pagherà un caro prezzo per la sua posizione e per la conoscenza della verità.

Un’opera perfettamente realizzata che trova nella recitazione della protagonista il suggello della perfezione. Sapete, al Mostro il bianco e nero fa questi effetti.

Il vortice della cultura popolare americana – sport, musica, religione, politica – che fa di essa l’anima del nostro tempo. E  uno dei venti che lo alimentano, la questione razziale, fonte  di drammi e creazioni artistiche, violenze e filosofie. Dopo il 1961 di The Duke e il 1962 di Cari compagni!, con One night in Miami siamo nel 1964, la sera della vittoria del titolo dei massimi di Mohamed Alì e del suo annuncio dell’abbandono del nome di Cassius Clay con la conversione all’Islam. Pare che il cinema, oggi, guardi ai primi anni “60, probabilmente un giro di boa importante nella storia della nostra civiltà. Quattro protagonisti della cultura afroamericana si incontrarono in un motel dopo l’incontro di boxe nel febbraio del 1964: Mohamed Alì, Malcom X, il cantante, discografico e milionario Sam Cooke, il super campione di football e poi attore Jim Brown. Entro la fine dell’anno Malcom X e Cooke moriranno di morte violenta. Una drammaturgia di grande mestiere, didascalica in maniera sopportabile, evoca in questo dramma da camera gli dei e le icone nascenti di quel periodo: i Beatles, Bob Dylan, i Rolling Stones, la Rolleiflex binoculare, l’Islam e l’FBI. In questo scenario prendono corpo le contraddittorie aspirazioni economiche, religiose e di affermazione personale degli afroamericani, in un periodo di incredibili, esplicite, discriminazioni razziali. Ottimo lavoro cinematografico di derivazione teatrale, nella tradizione del teatro da camera riversato su pellicola (“Jimmy Dean, Jimmy Dean” di Altman, “Glengarry Glen Ross” di Foley), buona regia e buoni attori.

Il Mostro preferisce tacere sul film polacco Never gonna snow again. Scombiccherato impasto new age di atmosfere scopiazzate da Kieslowsky o Tarkovskij, mal girato, mal fotografato, pessimi  i dialoghi. Come può essere messo nella selezione ufficiale?

Il Mostro Marino alias S.M.

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