Biennale Cinema 2021 | Zalava e altri ancora

Lido di Venezia, 10 settembre

The Last Duel

“The last duel” di Ridley Scott

Ancora una storia di potere, denaro e sesso in terra di Francia, la Normandia del XIV secolo. Il processo per stupro si tiene a Parigi, le procedure sono però più snelle, il giudizio finale è un Giudizio di Dio, un duello all’ultimo sangue, chi perde muore e, se il cavaliere dell’accusatrice perde, lei va al rogo. Le domande dell’istruttoria sono le stesse ascoltate in Les chooses humaines: “Fu seduzione o violenza? Lei ha goduto?” Un tocco di Rashomon in ambedue le pellicole, qui più pesante e noioso. John Ford era il regista “che sapeva sempre dove mettere la macchina da presa”. In film di ambientazione medievale lo si può dire anche di Bresson che gira Lancillotto e Ginevra.

Ridley Scott, per non sbagliare, la mette dappertutto, sulla sella del cavallo al galoppo, sulla panoramica del campo di battaglia, sugli arti feriti dei contendenti… Fa persino impallare un primo piano dallo schienale di una sedia senza alcuna ragione narrativa. Sontuosa ricostruzione in costume, anzi in armatura, priva di alcun valore estetico. Sembra di assistere a un documentario di History Channel di due ore e mezzo ma lì, almeno, ogni tanto ci sono gli interventi di qualche generale dell’esercito americano, di qualche storico di Harvard o di Alessandro Barbero.

Un autre monde

Un autre monde di Stéphane Brizé

Stéphane Brizé, secondo un diffuso luogo comune, sarebbe il Ken Loach francese. Questo perché tratta nelle sue ultime pellicole di conflitti di classe, di microfisica del potere e delle conseguenze tragiche dei conflitti sugli individui. Il vostro Mostro ha anche sentito un critico di lungo corso affermare che gli ultimi film del regista inglese avrebbero un punto di vista “populista” diverso dall’approccio “profondo” di quello francese. Ritengo, invece, che quello di Loach sia grande cinema, epico e visivamente raffinato, mentre Brizé viene catturato da un vortice di parole, dialoghi e drammatici monologhi davanti allo schermo di un computer, che non giunge alla tensione drammatica di Carnage di Polanski. Merito della pellicola è il mostrare il conflitto e le conseguenze sull’individuo dal punto di vista di un agente del potere economico. Il protagonista si illude di trovare una soluzione razionale ad una guerra decisa da dinamiche finanziarie che “Don’t give a fuck” alla sua visione manageriale, razionale e, in parte, etica. Contano i soldi, il valore delle azioni, i premi di produzione riservati ai colonnelli di una multinazionale più spietata e ottusa di un esercito in guerra. I dialoghi più appassionanti e drammaticamente forti sono quelli che si sviluppano, fra ipocrite cortesie e violente pressioni, nelle riunioni del management della ditta, degni di un episodio de Il Padrino o dei Soprano.

Zalava, di Arsalan Amiri

Zalava di Arsalan Amiri

Infine, uno di quei film terzomondisti che piacciono al Mostro e, forse, solo a lui. Un villaggio miserrimo nel Kurdistan iraniano prima della rivoluzione abitato da nomadi “venuti dall’ovest” (zingari?) divenuti stanziali da un secolo. La credenza nelle possessioni demoniache e il ricorso agli esorcisti dominano la vita sociale del villaggio e vengono a scontrarsi con lo spirito razionale di un ufficiale dell’esercito e di una dottoressa. La dottoressa muore, il film vince un premio alla Mostra [Premio della Settimana Internazionale della Critica, N.d.R.].

Finale

Come d’abitudine il Mostro ha perso tutti i film in concorso che hanno vinto un premio. Ha passato più tempo a guardare lo schermo del telefono che quello delle sale. Deluso e amareggiato saluta i suoi affezionati lettori, non sa se tornerà al Lido. Un saluto dalla “Terra Desolata” di Eliot: “HURRY UP PLEASE ITS TIME” “Good night, ladies, good night, sweet ladies, good night, good night.”

S.M. alias Il Mostro Marino

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