
“Quando non ci sono più onde” di Lav Diaz
Lav Diaz, l’autore filippino rivelatosi due anni fa alla Mostra con il meraviglioso “Genus Pan”, riprende il tema della violenza, calandolo però nella realtà odierna delle uccisioni extragiudiziali del regime di Duterte condotte nel perseguimento di un’aberrante guerra alla droga. La colpa, la necessità della vendetta, l’inefficacia della religione e della fede nell’arginare la distruttività, non sono illustrate con la profondità mitica e filosofica del film precedente. I tempi dilatati di “When the Waves Are Gone” (che tradurrei come “Dopo le Onde”) sono gli stessi del film del 2020, la ripresa in bianco e nero è ancora realizzata solo con luci d’ambiente, ma le immagini sono sgranate, come granulare e dolente è la realtà sociale odierna della nazione filippina. Quanto smarrita sia l’integrità e la coerenza della realtà sociale descritta emerge chiaramente dall’ascolto dei dialoghi. Per alcune espressioni quotidiane, si tratti di un rapporto di polizia o della richiesta di una camera d’albergo, la lingua filippina non possiede espressioni adeguate e si adopera l’inglese, così come i dialoghi sono infarciti di termini spagnoli. Nel linguaggio si sedimentano tutte le vicende storiche che hanno fatto di questa nazione oceanica una civiltà fallita. La parte finale del film, nella quale si affrontano i due protagonisti, assume le forme di una versione dai tempi dilatati di “Kill Bill”, con anche la forgiatura di un’arma micidiale. La conclusione è senza speranza alcuna, la colpa non può essere espiata se non con l’annientamento.
Il Mostro Marino alias S.M.
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